Inadempimento, sconfinamento, difetto di istruttoria e segnalazione alla centrale rischi. La connessa tematica della rottura abusiva della concessione di credito. Riflessioni afferenti ad ordinanza del tribunale di Milano del 29 agosto 2014.

Sommario

Avv.Biagio Riccio
L’ordinanza de qua affronta il delicato tema della erronea segnalazione alla centrale rischi, su cui già abbiamo scritto una nota apparsa su questa banca dati, a proposito di analogo provvedimento del Tribunale di Nocera Inferiore del 23.05.2011.
Si conferisce la stura all’estensione di una breve riflessione, perché il Tribunale di Milano suggerisce alcune opzioni interpretative effettivamente singolari per le questioni trattate.
Ci si riferisce, in primo luogo, alla parificazione tra inadempimento e sconfinamento, nella prospettazione difensiva dell’istituto di credito convenuto. Nel seno dell’ordinanza il Giudice riporta la tesi della Banca, secondo cui i presupposti della segnalazione debbano essere ravvisati tra l’altro “nell’aumento, nel corso dell’anno 2013, degli sconfinamenti anche verso altre banche, che, parimenti, denoterebbe l’incapacità delle risorse proprie della ricorrente a far fronte alle obbligazioni”.
Bisogna porsi un quesito: è possibile la segnalazione alla centrale rischi di un correntista che abbia sconfinato dal fido accordatogli?
Nel caso in rassegna ha così motivato il Giudice lombardo: “gli sconfinamenti (che, peraltro, rientrano fra le segnalazioni a carattere automatico) non sono indice in sè e in assenza di segnali di mancati pagamenti dei creditori, di incapacità non transitoria di adempiere alle obbligazioni assunte, essendo nel caso di specie, al contrario, lo strumento utilizzato dall’imprenditore per adempiere ai propri obblighi verso i fornitori “.
Lo sconfinamento nella prassi bancaria, come ben noto, nasce dal fatto che il correntista, nell’apertura di credito che gli è stata accordata, travalichi la linea di affidamento concessagli.
Il giudice di Milano dunque ha ritenuto e stigmatizzato che andare oltre fido non può autorizzare la banca alla rottura abusiva della concessione del credito e ad una conseguente e pedissequa segnalazione alla centrale rischi, qualora tale condizione sia transitoria e non dia adito ad un’impotenza economica strutturale, da parificarsi ad uno stato di decozione incipiente.
Si innesca in proposito un’altra questione che attiene alla tematica della abusiva revoca del credito: infatti prima della segnalazione, l’istituto di credito revoca gli affidamenti, anche in presenza di un solo sconfinamento: diventa dunque immotivata la revoca, il recesso ex art. 1845 c.c
“Il contratto di apertura di credito può avere un termine o essere a tempo indeterminato: nel primo caso la banca può recedere solo alla scadenza o per giusta causa con la concessione del termine previsto dall’art. 1845 c.c., nel secondo caso la banca non può recedere se non per giusta causa e le parti possono contrattualmente pattuire un termine a norma dell’ultimo comma dell’art. 1845 c.c.; quando la revoca si esplica con i caratteri della arbitrarietà e della imprevedibilità essa può essere fonte di un danno risarcibile, per cui la parte che assume la legittimità del recesso ha l’onere di enunciarne le ragioni e di fornire la relativa prova nel caso concreto. Il contratto deve essere eseguito secondo buonafede e dunque non può escludere che il recesso di una banca dal rapporto di apertura di credito, benché pattiziamente consentito anche in difetto di giusta causa, sia da considerarsi illegittimo ove in concreto assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari. Tali connotati devono, cioè, contrastare con la ragionevole aspettativa di chi, in base ai rapporti usualmente tenuti dalla banca ed all’assoluta normalità commerciale dei rapporti in atto, abbia fatto conto di poter disporre della provvista redditizia per il tempo previsto e che non può pretendersi essere pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per le quali un’apertura di credito viene normalmente convenuta (Trib. Salerno Sez. I, 27­07­2013).
La migliore dottrina ha soppesato quali siano le conseguenze che, oltre la segnalazione alla centrale rischi, siano sussumibili nella brusca rottura della concessione del credito.
Va segnalato il prezioso sforzo interpretativo di due magistrati Antonio Scarpa e Giuseppe Fortunato: “come è noto, a fronte della previsione codicistica dell’art. 1845 c.c., secondo cui nelle aperture di credito a tempo determinato la banca non può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se non per giusta causa (laddove nelle aperture a tempo indeterminato il recesso è consentito mediante preavviso), la prassi negoziale (art. 6 N.B.U.), avvalendosi della facoltà di patto contrario fatta salva dalla norma, ha solitamente riservato agli istituti la possibilità di recedere dalle aperture di credito in qualsiasi momento, anche con comunicazione verbale, facendo obbligo ai correntisti di restituire immediatamente le somme con un preavviso da determinarsi tra le parti (di solito poi fissato in sede di contrattazione individuale in un solo giorno). Questo ha permesso alle banche, pur in presenza di sopravvalutate difficoltà economiche del cliente finanziario, oppure di sopravvenienze in alcun modo imputabili al soggetto affidato, di ingiungere allo stesso il rimborso immediato dello scoperto, senza alcun scrupolo per le esigenze del ciclo economico del cliente. E il recesso immediato dalle aperture di credito ha altresì facilitato le banche rispetto agli altri creditori nel precostituirsi un titolo esecutivo, da far valere prioritariamente pure in sede ipotecaria per il soddisfacimento delle proprie ragioni” (Antonio Scarpa e Giuseppe Fortunato: Banche e responsabilità civile, collana diretta da Ciro Riviezzo ­ Orientamenti di merito, Giuffrè editore, pagg. 69 e seguenti, Milano 2008).
“Con riguardo al recesso della banca dall’apertura di credito in conto corrente, ove l’istituto di credito, senza attendere lo spirare del previsto termine di preavviso per il rientro in relazione alla esposizione debitoria del cliente, richieda la emissione di decreto ingiuntivo nei suoi confronti, e, una volta ottenutolo, iscriva ipoteca giudiziale sui beni del fideiussore, è razionalmente riferibile alla descritta condotta, in base al principio “causa causae est causa causati”, la idoneità probabilisticamente dannosa di detto provvedimento (in riferimento alla incidenza negativa di esso nell’ambito dei rapporti creditizi e della possibilità di diffusione della conoscenza di esso, avuto riguardo ai penetranti strumenti informativi di cui dispongono le banche), con la conseguenza che correttamente viene, in tale ipotesi, ritenuta ammissibile la richiesta dell’ingiunto di condanna generica al risarcimento del danno” (Cass. 22.11.2000 n.15066).
Si può determinare infatti uno stato di insolvenza del correntista che la subisca ingiustificatamente.
Autorevolmente, a commento della sentenza della Corte Suprema n. 15769/2004 che attiene proprio a tal questione, è stato scritto: “è illecita la revoca brutale del credito. Da tale azione deriva, direi quasi ipso facto, una immediata degenerazione della crisi in stato di insolvenza. Abbiamo quindi un legame causa­effetto fra il “fatto” della revoca del credito e il “fatto” dell’insolvenza. Il problema è, appunto, disciplinare giuridicamente questi “fatti”, perché non divengano dannosi rispetto ad interessi meritevoli di tutela […]”. Nella motivazione, la Corte ha spiegato come un recesso,sostanzialmente libero da parte della banca, sarebbe in contrasto con principi fondamentali del diritto dei contratti, come quello di buona fede, di solidarietà fra i contraenti, del divieto di abuso del diritto […] Si è voluto evidenziare che il modo di recesso potestativo della banca non può ritenersi assolutamente insindacabile, perché deve pur sempre rispettarsi il fondamentale e inderogabile principio, secondo il quale il contratto deve essere eseguito secondo buona fede (art. 1375 cod. civ.). Nel contratto di apertura di credito, si ha violazione di tale principio anche quando il recesso assuma connotati del tutto imprevisti ed arbitrari, connotati tali da contrastare con la ragionevole aspettativa di chi abbia fatto conto di poter disporre della provvista creditizia per il tempo previsto, e quindi non potrebbe perciò pretendersi ­ afferma ancora la Corte ­ che sia pronto in qualsiasi momento alla restituzione delle somme utilizzate, se non a patto di svuotare le ragioni stesse per le quali una apertura di credito viene normalmente convenuta. Se ne può dedurre, dunque, un obbligo di diligenza specifico della banca, che deve astenersi dal costringere il debitore ad una restituzione repentina del denaro. È interessante notare come la stessa Cassazione rilevi la stretta connessione fra la causa per cui il debitore stipula l’apertura di credito e la sua aspettativa di godere per un periodo determinato di liquidità. L’illiceità della condotta della banca sta proprio nella lesione del legittimo affidamento del debitore sulla disponibilità protratta di fondi. Il danno che deriva dalla rottura del credito è di dimensioni molto ampie, sia per la necessità di reperire rapidamente denaro per coprire la richiesta della banca, sia per la repentina carenza di liquidità che determina. Avendo fatto ragionevole affidamento sui fondi ottenuti attraverso l’apertura di credito, l’imprenditore avrà posto in essere una serie di attività, e quindi rapporti obbligatori, verso i quali, poi improvvisamente, si trova incapace di adempiere. La revoca brutale del credito è da ritenersi, secondo il ragionamento della Corte, abuso del diritto e violazione dei principi di buona fede. In altri termini il Tribunale non può, pur nei limiti dell’istruttoria pre­fallimentare, ignorare assolutamente che all’origine del fallimento vi sia un comportamento distorto degli istituti di credito che, con il loro ingiustificato agire, determinano irreversibilmente la carenza di liquidità per sopperire al governo dell’azienda” (Abusiva revoca del credito e accertamento dell’insolvenza di Massimiliano Fabbrini, pubblicato nella rivista di Diritto Fallimentare, 2005, 3­4, 2395).
Nella pratica dunque avviene che, prima della segnalazione alla centrale rischi, la banca, per un semplice inadempimento o sconfinamento, revochi i fidi con gravi conseguenze che possono sfociare in un’irreversibile crisi dell’impresa costretta al fallimento.
L’ordinanza in commento, in secondo luogo, si sofferma sul delicato tema della mancanza di un’attività istruttoria, propedeutica e necessaria, prima della segnalazione alla centrale rischi.
Ha scritto il Giudice di Milano: “la segnalazione a sofferenza, proprio per il margine di discrezionalità attribuito all’intermediario nella valutazione rispetto ad altre segnalazioni a carattere automatico, richiede all’intermediario una attenta verifica della situazione di fatto, al fine di contemperare l’esigenza di contenimento del rischio creditizio e la tutela dell’interesse privato del soggetto segnalato”.
Infatti prima della segnalazione occorrerebbe che la Banca inviti al contraddittorio il potenziale segnalato, affinché il medesimo conferisca giustificazione al presunto allarme provocato dalla sofferenza che gli si debba ascrivere.
Invero attenta giurisprudenza di merito in proposito ha statuito: “la banca deve procedere con l’attenta valutazione della complessiva situazione finanziaria del cliente debitore prima di effettuare la segnalazione a sofferenza alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. Nell’effettuare siffatta attenta valutazione la banca è tenuta, ove necessario, anche ad instaurare il contraddittorio con il cliente e segnatamente nei casi in cui la sua situazione finanziaria appaia complessa, nel senso che non si manifesti palesemente pregiudicata al punto da poter ritenere senz’altro a rischio la riscossione del credito” (Trib. Bari ­ Monopoli, 19­05­2011).
La ponderata valutazione della situazione complessiva del cliente da parte della banca, scaturisce anche dal dovere di correttezza contrattuale (1175 c.c) che si concretizza nella tutela dell’affidamento, di protezione e salvaguardia dell’interesse del cliente, atteso che la buona fede è anche fonte di etero integrazione del contratto.
Ecco perché la banca ­ come si legge nell’ordinanza in commento ­ deve procedere con un’attenta valutazione della situazione debitoria, prima di effettuare una qualsivoglia segnalazione alla Centrale Rischi.
Cardito, 16.02.2015

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