Banca Etruria, la corsa verso l’abisso. Azione di responsabilità per 520 milioni contro la dirigenza.

Il liquidatore della Banca Etruria, Giuseppe Santoni, ha convenuto innanzi al Tribunale civile di Roma i direttori generali e soprattutto i componenti degli ultimi tre consigli di amministrazione, compreso l’ultimo guidato da Lorenzo Rosi, che aveva come vicepresidenti Alfredo Berni e Pier Luigi Boschi, padre della sottosegretaria Maria Elena Boschi. Si legge nell’atto di citazione che la Banca Etruria «è crollata, risultando totalmente “spolpata” nella sua consistenza patrimoniale, sotto il peso di errori madornali degli amministratori e da una serie incredibile di erogazioni di favore in palese conflitto di interessi»; è un durissimo atto di accusa nei confronti di manager e componenti dei Cda che si sono succeduti dal 2010.
Il ricorso quantifica il danno finale in 520 milioni di euro, attribuendo alla società di revisione PriceWaterhouseCoopers la responsabilità per 112 milioni di euro dovuti «all’omesso controllo contabile in relazione agli illeciti commessi dai componenti degli organi aziendali».
Nell’atto depositato lunedì scorso si parla di una «incredibile serie di erogazioni di favore e in palese conflitto di interessi, ovvero dissennate e inutili e senza garanzie per chi ne era beneficiario. Santoni la definisce una «paradossale corsa verso l’abisso» e poi aggiunge: «Non si sa bene se maggiore responsabilità vada attribuita a chi dolosamente e pervicacemente ha curato, a scapito della società e dei creditori, i personali interessi propri o di propri sodali in palese conflitto con il ruolo gestorio rivestito, ovvero a chi ha con colpa gravissima trasgredito le più basilari regole di buona amministrazione di una Banca, ovvero a chi ha altrettanto colposamente assistito con inerte disinteresse allo scempio che avveniva sotto i suoi occhi».
Per questo evidenzia come «la paradossale mala gestio, che caratterizzava la conduzione della Banca, è stata tempestivamente posta in evidenza nel corso di tre ispezioni da parte di Bankitalia tra gennaio 2010 e febbraio 2015, con la conseguente irrogazione di pesanti provvedimenti sanzionatori»; eppure «la situazione si è aggravata, perché non solo nessuno vi ha posto rimedio, ma questi episodi di mala gestio si sono perpetrati e rinnovati».
Secondo il liquidatore è stata portata avanti «una “strategia” basata su rimedi estemporanei e di dubbia legittimità con il frettoloso “piazzamento” delle note obbligazioni subordinate ai risparmiatori che sono state successivamente e necessariamente azzerate». Riferimento esplicito al provvedimento di messa in liquidazione della banca con il decreto del governo del novembre 2015, che ha provocato la perdita dei risparmi di migliaia di cittadini. Con il caso eclatante del suicidio del pensionato Luigi D’Angelo.
Se il danno derivato «dalla dissennata gestione dei crediti» viene quantificato in oltre 112 milioni di euro, Santoni ritiene ben più grave la perdita causata dall’ultimo consiglio di amministrazione — guidato da Rosi, Berni e Boschi — per la scelta di non seguire le indicazioni degli ispettori di Palazzo Koch e procedere «all’aggregazione con un partner strategico». In particolare definisce il rifiuto all’offerta di Banca Popolare di Vicenza una «decisione dolosa o gravemente colposa» perché ha provocato un mancato introito per oltre 212 milioni di euro. Qui c’è la correità anche di Boschi senior con una richiesta danni di 15,8 milioni.
Questi i fatti di Etruria; tra non molto, anche l’azione di responsabilità contro i vertici delle Banche Venete.
Costoro non dovrebbero rispondere solo con il proprio patrimonio personale, ma anche penalmente per gli abomini commessi.
Non solo sono stati distrutti patrimoni di poveri risparmiatori, ma la storia di una banca che dovrebbe produrre ricchezza per le imprese.
Maria Elena Boschi, che non è Tina Anselmi né Nilde Iotti, dovrebbe dimettersi, se avesse dignità politica, come fece De Mita dalla Bicamerale quando suo fratello fu accusato di peculato eppoi assolto come fece Martinazzoli, ministro della Giustizia, quando Sindona si avvelenò nel carcere (e l’avv.bresciano non aveva alcuna colpa).
Ma sono altri tempi, altra tempra, altra morale. Altra sensibilità. Qui tutto passa, in tanto ciarpame di potere.
 

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