PER UN “GOVERNO DEL PRESIDENTE” CONTRO IL “SALVINISMO”

Al di là di ogni valutazione – se questo governo sia  stato o meno  capace di indicare soluzioni ai problemi – emerge dall’ultima crisi la nascita di un altro fenomeno che ha risvolti e declinazioni politiche ed istituzionali: il “salvinismo”.
Non si tratta di stabilire infatti se il governo gialloverde sia stato o meno efficiente, se migliore o peggiore degli ultimi governi di centrosinistra guidati prima da Renzi e poi da Gentiloni, non è necessario neppure giudicare e delibare se questa coalizione abbia contribuito o meno al cambiamento, se Conte insomma sia stato o meno un bravo premier ed abbia adempiuto il contratto di legislatura.
La questione ha altre sfaccettature ed angolazioni da esaminare: attengono al comportamento del vicepremier Salvini, che ha portato sulla scena un diverso modo di intendere la politica: il “salvinismo”, sconvolgendo la “grammatica istituzionale”.
In Italia nel corso del ‘900 abbiamo visto fenomeni di questo genere, si pensi al giolittismo, al fascismo, al degasperanesimo, al moroteismo, per giungere al craxismo, al berlusconismo, al renzismol’identificazione di una sola persona al comando.
Si tratta di fenomeni politici che hanno riscosso un consenso altamente popolare nel paese, espresso attraverso valanghe di voti, quasi plebiscitarie, tranne Craxi che si fermò al 15 per cento, nonostante che all’epoca del pentapartito fosse stato, il suo, il governo più longevo.
C’è dunque una forte propensione dell’italiano medio, borghese ad affidare ad un solo uomo il destino per farsi guidare.
Montanelli lo ricorda nella sua magnifica Storia di Italia: la suggestione ed il fascino dell’uomo forte ha sempre fatto presa sugli italiani, soprattutto in epoche di fragili equilibri politici, come quelli attuali.
Non dimentichiamo, per limitare la nostra analisi a recenti fenomeni, che il rottamatore Renzi ebbe un consenso di oltre il 40 per cento dei voti, poi dilapidato nel giro di pochi anni: quello stesso popolo che lo aveva osannato, lo ha ripudiato. Fu proprio Renzi a mandare improvvisamente a casa il governo Letta che era del suo stesso partito. In modo spregiudicato fu non la piazza, ma la direzione del Partito Democratico a costringere Letta a dimettersi. Si ricordi la famigerata affermazione: “Enrico, stai sereno”.
Cadde il bullo di Rignano, quando volle toccare la Costituzione.
Con Salvini stiamo assistendo ad un fenomeno analogo: in quest’anno il leader della Lega, con una macchina elettorale permanente, ha distrutto i Cinque Stelle, sparigliato Forza Italia e si è collocato a Destra, in una posizione indiscussa di comando, anche con prospettive di rivoluzionare consolidati assetti europei: si veda la sua dichiarata simpatia per Putin.
Questo è il focus della crisi, il suo ubi consistam che va soppesato.
Salvini è:
1- un animale politico, nel senso migliore del termine: asseconda la pancia del popolo ne sposa ogni rivendicazione, come un consumato demagogo.
2- È allergico al lavoro di scrivania e scende sempre in piazza a sentire gli umori ed i problemi della gente, condividendoli, come se fossero di semplice soluzione.
3- Ha capito più di tutti che la maggioranza degli italiani vuole sicurezza ed ordine e non tollera la “gente di colore” ed ha concentrato tutta la sua politica a bloccare gli sbarchi degli immigrati nei porti.Da qui un consenso popolare smisurato.
4- In quest’anno ha ottenuto tutto quello che voleva dall’altro partner acquiescente e supino, I Cinque Stelle, sino al voto del decreto sulla sicurezza bis, che ha alti profili di incostituzionalità.
5- Rispetto alla fragilità di Di Maio, si erge la sicumera di Salvini.
I partiti sono chiamati ad affrontare questo problema. Salvini intende (e subito infischiandosene di regole, limitazioni ) andare alle elezioni per incassare questo palpabile ed oggettivo consenso, che nessuno gli toglie: le piazze sono piene e gli danno la legittimità di poter affermare con nettezza ed incisività: “Chiedo al popolo italiano di affidarmi i pieni poteri”.
Chi ha avvertito drammaticamente la sua inquietante intolleranza ed allergia alle regole  è stato il premier Conte, che, dimenticando che Salvini fosse il suo vicepremier, lo ha fermamente e severamente biasimato per la sua idiosincrasia ai valori costituzionali ed istituzionali.
Ma è una rampogna che per Salvini non ha alcun significato: vuole solo le elezioni, il cui esito è stato già sperimentato attraverso l’uso forsennato dei social.
Si scontra la pericolosa logica – “lo vuole la piazza, la pancia degli italiani” (che leggono poco i giornali e fanno un uso dei social ossessivo, ove Salvini c’è più di Di Maio e di Di Battista) con il sacerdotale rispetto delle regole rivendicato dal premier Conte.
Nel suo discorso Conte ha ricordato a Salvini che è stato lui a presentarsi, in sua vece, davanti alle Camere per rendere chiarimenti sulla questione dei finanziamenti illeciti provenienti dalla Russia. Salvini non ha dato risposta, ha ignominiosamente glissato.
Anche il fatto di aver ritirato la mozione di sfiducia, di essere rimasto accanto al Premier mentre leggeva il suo discorso, di essersi sfacciatamente esibito in evidenti segni di disapprovazione, dimostra che per Salvini non conta il barboso galateo istituzionale. È fuffa.
Il problema non è dunque formare un governo alternativo a quello gialloverde con un nuovo contratto tra Cinque Stelle e Partito Democratico. È proprio quello che vuole Salvini: scatenerebbe la piazza contro Di Maio e la Boschi, insieme oggi ed acerrimi nemici ieri. La piazza non lo sopporterebbe.
Non andrebbe neppure proposta questa alleanza: è un abbraccio mortale in partenza.
Il Movimento Cinque Stelle è antropologicamente diverso dal Partito Democratico : se si realizzasse questo nuovo contratto, Salvini alle prossime elezioni otterrebbe un consenso pari a quello di Mussolini, all’indomani della marcia su Roma.
La soluzione è dunque istituzionale nelle mani di Mattarella, per un governo del Presidente che prescinda da ogni logica partitica e cerchi il consenso in Parlamento per riforme elettorali serie, per strategie economiche che superino evidenti disuguaglianze sociali e riportino i diritti del welfare State al centro dell’agenda politica. Il tentativo va fatto ed esplorato, anche perché siamo all’inizio della legislatura e rappresenta l’extrema ratio, come insegnano i manuali di Diritto Parlamentare, inviso a Salvini che ovviamente rimuove dal suo universo politico.
Non è un governo tecnico, ma istituzionale, che ruota intorno al ruolo di custode della Costituzione, come ipotesi limite, affidato al Capo dello Stato, ex art.92 della Carta.
È il Presidente che nomina i ministri, che traccia il programma e che può deciderne anche la scadenza per gli obiettivi  prefissati. Possono esserci e non esserci i parlamentari.
Solo così si può arginare il  pericoloso salvinismo: in luogo di questa soluzione, se non si trova una maggioranza e  non si ottiene la fiducia nel Parlamento,vincerà la piazza – con tutte le conseguenze nefaste della moltitudine, anche quelle di mandare alle ortiche le regole istituzionali – e si celebrino democratiche elezioni.
Alternative non ce ne sono.

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