PER BONAFEDE ED I MAGISTRATI IRRESPONSABILI

“Non mi chiedo se Enzo Tortora sia innocente, sono certo che lo è. Il fatto di conoscerlo personalmente e di stimarlo, uomo intelligente e sensibile (non l’ho visto mai in televisione), può anche essere considerato elemento secondario ed anche fuorviante; ma dal giorno del suo arresto io ho voluto fare astrazione dal rapporto di conoscenza e di stima ed ho soltanto tenuto conto degli elementi di colpevolezza che i giornali venivano rivelando.
Non ne ho trovato uno solo che insinuasse dubbio sulla sua innocenza. Sono tutti elementi “esterni” che non trovano riscontro alcuno, non dico in quel che conosciamo della personalità e del modo di vivere di Enzo Tortora, ma che non trovano convalida alcuna in un solo indizio che possa dirsi oggettivo o probante….Stiamo parlando del caso capitato ad un uomo che gode di tanta popolarità e simpatia.
E qui insorge la domanda: i guai gli sono venuti appunto per la popolarità e simpatia di cui godeva-e nel senso che alla spettacolarità dell’operazione, la sua inclusione conferiva ulteriore spettacolarità-o un caso simile può capitare a qualsiasi cittadino italiano? Purtroppo credo non ci sia alternativa: la risposta è affermativa per l’una e l’altra ipotesi.
Le accuse dei camorristi pentiti a Enzo Tortora non sono state, prima dell’arresto, accuratamente e scrupolosamente vagliate…. Il metodo dei camorristi consiste nel confondere, nell’intorbidare, nel seminare sospetti ed accuse, nel coinvolgere quante più persone è possibile. Un costruire insomma uno di quei castelli di carta che basta poi toglierne una alla base, perché tutta la costruzione crolli.
Ed ho l’impressione che la carta Enzo Tortora sia stata messa proprio a chiave di tutta la costruzione: una volta che si sarà costretti a toglierla, l’intera costruzione crollerà e tutto apparirà sbagliato e privo di credibilità. E resterà il problema del come e del perché dei magistrati, dei giudici abbiano prestato fede ad una costruzione che già fin dal primo momento appariva fragile all’uomo della strada, al cittadino, che soltanto legge ed ascolta le notizie.
Ogni cittadino, quale che sia la sua professione o mestiere, ha l’abito mentale della responsabilità. Che faccia un lavoro dipendente o che ne eserciti uno in proprio e liberamente, sa che per ogni errore deve rendere conto e pagarne il prezzo, a misura della gravità e del danno che alle istituzioni, da cui dipende ed alle persone cui ha prestato opera, ha arrecato. Ma un magistrato non solo non deve rendere conto dei propri errori e pagarne il prezzo, ma qualunque errore commesso non sarà remora alla sua carriera, che automaticamente percorrerà fino al vertice e credo che sia, questo, un ordinamento solo italiano…Un rimedio paradossale quanto si vuole sarebbe quello di far fare ad ogni magistrato, una volta superate le prove di esame e vinto il concorso, almeno tre giorni di carcere fra i comuni detenuti e preferibilmente in carceri famigerate, come l’Ucciardone e Poggioreale. Sarebbe indelebile esperienza, da suscitare acuta riflessione e doloroso rovello, ogni volta che si sta per firmare un mandato di cattura o per stilare una sentenza”
Questo è stato scritto da Leonardo Sciascia sul Corriere della sera il 7 agosto 1983;Tortora fu arrestato il 17.6.1983.
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