La bellezza della nostra costituzione

Nella festa della Repubblica Marta Cartabia, Presidente della Corte Costituzionale, dalle colonne del “Corriere della Sera”(del 1 giugno) ci invita a riflettere sul significato della parola “Repubblica”,ricordandoci che essa rappresenta un corpo unico, indivisibile necessario per rimuovere tutti gli ostacoli che non rendono possibile la realizzazione del progetto di un’eguaglianza sostanziale come vuole l’art.3.
Oggi la contrapposizione tra partiti è veramente tragica,la corsa alla demagogia ed allo sfruttamento delle disgrazie del popolo sovrano non conosce pudore.
Ma si dimentica lo spirito con il quale fu varata la “Carta Fondamentale”.
I deputati dell’Assemblea Costituente  capirono profondamente che il metodo da utilizzare per redigere la Carta Costituzionale fosse quello dello spirito condiviso; si disse che la mattina si litigava per gli affari correnti, mentre di sera ci si concentrava, al caminetto, per redigere le regole che sarebbero valse per il futuro. 
Il grande miracolo che aveva assistito i padri costituenti fu proprio questo: la Carta che ne nacque fu un prezioso compromesso fra le tre fondamentali culture del XIX secolo, quella socialista, la cattolica e la liberale.
Benedetto Croce invocò lo Spirito Santo, affinché potesse assistere i redattori della Carta.
I contrasti ci furono eccome, ma mai logiche prevaricatrici: si pensi al serrato dibattito fra i sostenitori del regime parlamentare e  di quello presidenzialista, alla stessa necessità, di recepire i patti lateranensi che regolamentarono il concordato fra Stato e Chiesa.
Come ha ricordato il compianto Stefano Rodotà non si sarebbe mai sognato il Presidente del Consiglio De Gasperi di discettare di questioni costituzionali dal banco del governo.
Citando Piero Calamandrei Rodotà infatti ricordava che solo in una occasione De Gasperi parlò della Costituzione e lo fece dai banchi del Parlamento, non da quelli del Governo, che dovevano essere vuoti:
Quando si discute di Costituzione e di diritti fondamentali, sostanzialmente dell’assetto istituzionale del Paese, si dovrebbe rispettare una regola non scritta: quella dell’adeguatezza.
E’ qualcosa che riguarda anche l’atteggiamento del governo. Se si cita Calamandrei, allora bisognerebbe ricordare quella sua frase sui banchi vuoti del governo, quando si discute di Costituzione: il governo non dovrebbe essere parte dell’indirizzo politico. Si dovrebbe invece cercare un terreno comune, perché la Costituzione rimane ed è la regola per tutti. Il governo dovrebbe tenere un atteggiamento tale da non condizionare le scelte”
(Intervista a Rodotà a cura di Angela Mauro  Huffington Post).
Nonostante che De Gasperi avesse cacciato le sinistre dal Governo nel maggio 1947( il partito comunista e quello socialista nella crisi del suo terzo governo),non vi fu nessun contraccolpo durante i lavori della Costituente; la magia che pervase quei deputati era proprio quella di sentirsi come investiti dalla missione di redigere tavole di norme valevoli per la Repubblica del futuro, senza farsi condizionare dalle scelte politiche del momento e senza colorare di altri contenuti il dibattito in corso.
Scrive nel suo bellissimo libro Gianni Corbi
– L’avventurosa nascita della Repubblica- Gli anni della Costituente da Parri al Patto Atlantico Rizzoli 1989
pag.152 e seguenti-:
 “Vista con gli occhi di oggi e tenendo conto della situazione generale dell’epoca, ci appare come un prodigio. Il 20 dicembre del 1947 tutto finalmente è pronto per il varo della Costituzione. Per arrivare in porto sono state necessarie 170 sedute, 1090 interventi da parte di 275 oratori, 44 appelli nominali,109 scrutini segreti, 1663 emendamenti presentati al progetto di Costituzione.
Meuccio Ruini, il gran coordinatore della commissione per la Costituzione, presenta al presidente dell’Assemblea, Umberto Terracini, “il testo coordinato”, preparato da un apposito comitato dei 18 che ha compiuto un lavoro minutissimo, d’intarsio e di intaglio, per cui i futuri ricercatori dei precedenti parlamentari si potranno meravigliare del punto a cui si è giunti per il formalismo e la pesatura degli articoli, parola per parola sul bilancino dell’orafo.
Per rendere più fluido e linguisticamente corretto il testo fu istituito un comitato di esperti : ne fanno parte il grande latinista Concetto Marchesi, un famoso scrittore Antonio Baldini ed un insigne critico letterario Pietro Pancrazi.
Ne scaturì un capolavoro di sintassi, mai più rinvenuta nei testi legislativi.
Nel pomeriggio del 22 dicembre 1947 Ruini consegna il testo con 139 articoli della nuova Costituzione al Capo Provvisorio dello Stato, Enrico De Nicola. 
“Quando tra poco voteremo-dice-il largo suffragio che daremo alla nostra Costituzione attesterà che, malgrado i dissensi e le lacerazioni, è scaturita dalle viscere profonde della nostra storia, la convergenza di tutti in una comune certezza: il sicuro avvenire della Repubblica italiana”.
Le cronache parlamentari a questo punto registrano:
l’Assemblea sorge in piedi, vivissimi , generali, prolungati applausi. Da una tribuna un gruppo di garibaldini intona l’inno di Mameli, ripreso dall’Assemblea e dal pubblico delle tribune. Poi il momento tanto atteso della votazione. Terracini con la sua voce un po’ cantilenante proclama il risultato. “Presenti e votanti 515, maggioranza 258, voti favorevoli 453, voti contrari 62. L’Assemblea approva”.
In un lucido intervento tenuto l’11 marzo 1947  Togliatti ebbe a dire:
“Lo sforzo che vorrei fare all’inizio è quello di individuare  quali sono i beni sostanziali che la Costituzione deve assicurare al popolo italiano, beni dai quali non si può prescindere. Credo che questi beni siano tre: la libertà e il rispetto della sovranità popolare; l’unità politica e morale della Nazione; il progresso sociale legato all’avvento di una nuova classe dirigente. Non abbiamo cercato un compromesso con mezzi deteriori: abbiamo fatto il possibile per approdare ad un’unità, di individuare quale poteva essere il terreno comune, sul quale potevano confluire correnti ideologiche e politiche diverse, ma un terreno comune che fosse abbastanza solido, perché si potesse costruire sopra di essa una Costituzione, cioè un regime nuovo, uno Stato nuovo per andare al di là anche di quelli che possono essere gli accordi contingenti dei singoli partiti, che costituiscono o possono costituire una maggioranza parlamentare”.
L’asprezza delle discussioni non di rado portò a scontrarsi duramente, senza tuttavia mai abdicare al rispetto dell’avversario: la battaglia a cui nessuno si sottrasse. Allo stesso modo, nessuno si sottrasse alla responsabilità e all’impegno assunto di fronte al paese, di portare al termine il lavoro, pensare alla Repubblica, alla sua Carta costituzionale. 
Quell’impegno non venne meno neanche quando, nel maggio 1947, De Gasperi formò  il nuovo governo senza la presenza di comunisti e socialisti. Neanche quest’evento dirompente, bollato da Togliatti come colpo di Stato, incise sull’andamento dei lavori.
Le varie forze politiche , che insieme avevano operato per restituire all’Italia la Democrazia dando prova di grande saggezza, conservarono lo spirito di collaborazione necessario a portare a compimento il mandato che il paese aveva loro affidato. Si sentivano impegnate a redigere la Carta fondamentale del nuovo Stato, in modo tale che tutti gli italiani, indipendentemente dai loro orientamenti e condizioni, vi si riconoscessero.
(Carlo Azzeglio Ciampi- Un paese diverso: qualche considerazione a margine rileggendo Calamandrei in Chiarezza nella Costituzione Edizione di Storia e letteratura)
Proprio Calamandrei  ha sempre difeso, con il cuore e con lo spirito, il diritto delle minoranze:
Ho sempre sostenuto che per preparare il testo di una nuova Costituzione democratica sia più opportuno e più prudente muovere dal punto di vista della minoranza; non mi è difficile dato il partito al quale appartengo. Ciò è indispensabile sempre per difendere le garanzie costituzionali, perché la maggioranza di oggi può diventare minoranza domani. La Costituzione deve guardare lontano. Secondo me è un errore formulare gli articoli della Costituzione con lo sguardo fisso agli eventi vicini, agli eventi appassionanti, alle amarezze, agli urti, alle preoccupazioni elettorali nell’immediato avvenire, in mezzo alle quali molti dei componenti di questa assemblea già vivono. La Costituzione deve essere presbite, deve vedere lontano, non essere miope (Piero Calamandrei-Discorso pronunciato all’assemblea del 4 Marzo 1947 in Piero Calamandrei- Chiarezza nella Costituzione-edizione di storia e letteratura 2012).
Oggi la Costituzione in un impianto normativo di un perfetto compromesso tra culture politiche, può costituire un programma di partito.
  1. Perché la sovranità appartiene al popolo che non può tollerare alcuna casta( art 1).
  2. Perché prima dello Stato viene la libertà della persona, delle associazioni dei centri di pluralismo sociale(art.2).
  3. Perché una libertà formale non ha consistenza, se la Repubblica in ogni tempo non rimuova gli ostacoli per la realizzazione di un’eguaglianza sostanziale(art.3).
  4. Perchè il lavoro è un diritto sacrosanto e deve consentire una retribuzione sufficiente e dignitosa per il lavoratore e la sua famiglia( art.4 e 36).
  5. Perché l’iniziativa economica privata deve svolgersi non in contrasto con la dignità della persona e dell’utilità sociale(art.41).

Perché a tutti sia resa possibile un’istruzione in quanto i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi.

La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso( art.34).
Questi valori vanno condivisi, non appartengono a nessun partito e sono un patrimonio di tutti, perché è il senso dello Stato che deve pervadere chi è dentro la “Res publica”.
Questo lo si dimentica con troppa approssimazione, in un momento storico ove il trionfo dei social spinge i nostri politicanti ad una demagogia becera che può portare anche ad un facile consenso.
Ma è dopo che arriverà il difficile: la pratica di governo che non è di tutti.
Dovrebbero coltivare la bellezza: lo hanno scritto Sgarbi e Ainis.
Ma c’è un tratto unificante, c’è un elemento che distingue la cultura italiana dalle altre culture nazionali? Sì che c’è: è la bellezza.
È l’educazione al bello, la capacità di plasmarlo e ricrearlo in nuove fogge, nel passaggio delle generazioni.
È questo il genio degli italiani, ed è da questo genio che deriva un patrimonio artistico senza eguali al mondo….
La bellezza è nella nostra Carta Costituzionale(La Costituzione e la bellezza Michele Ainis e Vittorio Sgarbi).
Sito Web | + Altri Articoli

Lascia un commento

Inviando un commento si accetta la Privacy Policy del sito. Email e Nome non sono obbligatori per lasciare un commento.


Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.